La Pasqua cristiana nasce dalla confluenza di due tradizioni, quella ebraica e quella dei riti della fertilità, praticati in tutta l’area mediterranea e che sono, almeno in parte, all’origine anche della tradizione ebraica. Questa, però, introduce un cambiamento radicale nell’ordine temporale della festa: i rituali della fertilità appartengono infatti a una temporalità ciclica, in cui le diverse fasi si alternano secondo un ritmo ben definito e sempre uguale, come le fasi lunari e le stagioni. La Pesach, con il tema dell’alleanza e della fuga dall’Egitto, celebra un tempo lineare, rispetto a cui il prima e il dopo sono posti in una successione irrevocabile: esiste un’epoca della schiavitù e una della libertà e, in quest’ultima, un’apertura al futuro; ripetere il rito nella successione degli anni, allora, non ha più il valore delle altre tradizioni, in cui la pratica sacra serviva a sancire il ripetersi del corso naturale delle stagioni, ma è un modo per riprendere contatto con la storia, per interrogarsi sul presente e proseguire il cammino.
Lo stesso vale per la versione cristiana, che celebra il passaggio cruciale della morte e resurrezione di Cristo, ossia l’evento centrale della storia della salvezza: un cardine fissato irrevocabilmente nel tempo, a partire dal quale il prima e il poi sono definiti per l’intera umanità. Allo stesso tempo, come per molti rituali cristiani, la commistione con le tradizioni precedenti si è fatta sentire in modo molto pronunciato. La pasqua è, così, tanto la celebrazione del sacrificio del redentore, quanto la ripetizione dei riti della primavera; entrambi si trovano riuniti nella figura dell’agnello che, vittima sacrificale di elezione nei rituali della fertilità è divenuto, proprio per questo, simbolo cristiano.
L’agnello, dicevo, ma anche la colomba, le uova e tutte le primizie dei campi, a partire dalle prime spighe di grano e, ovviamente, il latte e i latticini. Le feste primaverili si caratterizzano per la centralità dei prodotti associati alla nuova stagione e capaci di rappresentare al meglio la (ri)nascita e la fertilità; metterli al centro di rituali sacrificali significava, pertanto, affermare la consapevolezza dei ritmi della terra e la propria sintonia con essi e invocare la protezione divina sulla continuità dei cicli vitali. In questo contesto, la colomba acquista un valore del tutto speciale: animale sacro ad Afrodite (e, prima, a Ishtar), ne rappresenta la funzione divina, quella di presiedere al legame erotico del vivente, alla riproduzione e alla nascita. Allo stesso modo, l’uovo è la cellula primigenia, la vita e l’universo intero in potenza, la promessa della nascita. Tutto questo si ritrova, mirabilmente compendiato e, per così dire, riassunto in questa perfetta colomba. Perfetta, perché c’è tutto quello che deve esserci, e nulla di quello che non serve: zucchero, farina, uova e burro, e poi arancia candita e una glassa di nocciole. Perfetta, perché ognuno di questi ingredienti è, a sua volta curato alla perfezione, fino a esprimersi al massimo; per rendersene conto, basta sentirsi sotto i denti le scorze di arancia candita, dolci e profumate, elastiche e cedevoli appena al punto giusto, con il loro aroma agrumato che viene dal cuore dell’inverno e ora, a primavera sbocciata, ha tutta la pienezza di una promessa mantenuta. Più ancora, l’impasto: ricco, ben alveolato, umido ma non unto, morbido ma fermo, con la carezza del burro e la sontuosità dell’uovo fresco, con il tuorlo che pervade la bocca e il naso. Una colomba perfetta, come questa, lascia un sentore di uovo, sublimato nel passaggio e nel contatto con tutto il resto, ammorbidito dalla farina e dal burro, addolcito dallo zucchero, definito e contrastato dall’arancia, accompagnato dalla nocciola, ma comunque presente, nell’elasticità dell’impasto e nella sapidità dell’insieme. Perfetta non solo di sapori, aromi e consistenze, ma anche di simboli: una colomba con la pienezza dell’uovo, ovvero l’ardore della primavera e la promessa di futuro. La Pasqua, in tutte le sue possibili declinazioni.