Fino a qualche anno fa, la tradizione italiana dei primi piatti si divideva in due: a nord del Po vinceva il riso, a sud la pasta, con l’ulteriore distinzione tra la la prevalenza delle paste fresche in Emilia Romagna, Toscana e Umbria e quelle di semola di grano duro nelle altre regioni. Riso, che in Italia vuol dire soprattutto risotto, nelle sue varie declinazioni. Se, infatti, questo cereale è diffuso in molte parti del mondo e forma la base dell’alimentazione per centinaia di milioni di persone, solo nella nostra cucina si è raggiunta questa vetta sublime, per la quale sono necessari ben quattro passaggi complessi e raffinati: soffritto, tostatura, cottura in brodo e mantecatura.
Se ne parla al passato, perché ormai la pasta ha vinto in tutta Italia: più facile e rapida da preparare e, almeno apparentemente, più leggera, è riuscita a vincere tradizioni locali e campanilismi di ogni genere. Sul piano internazionale, del resto, non c’è mai stata gara, visto che l’identificazione tra la nostra cucina e gli spaghetti è pressoché totale, insidiata forse solo dalla pizza. Il vero problema nella preparazione del risotto, quello che ne allunga notevolmente i tempi e ne complica il risultato, è il brodo. Anche perché un buon brodo, oltre ai tempi lunghi, richiede molti ingredienti, ben assortiti ed equilibrati che, per trovare la giusta armonia e il perfetto bilanciamento, devono essere in quantità abbondante. Insomma, produrre una decina di litri di brodo buono era senz’altro una risorsa nella cucina classica, che ne faceva uso in mille preparazioni, ma le ricette di oggi hanno ben altre caratteristiche.
Per questo, il piacere di un buon risotto è diventato abbastanza raro: ci sono alcuni ristoranti dove ci si può fidare che lo facciano espresso, ma spesso capita che ricorrano a espedienti per accelerare i tempi che, se anche non rovinano completamente il piatto, ne riducono notevolmente il fascino. La sola alternativa, apparentemente, è quella di armarsi di pazienza e prepararlo a casa, affrontando a testa alta tutte le insidie della preparazione di un risotto come si deve.
In realtà esiste anche una terza soluzione, che non è affatto un ripiego. Un buon risotto pronto, come questo ai porri bio, ha tutte le carte in regola. Anche perché il processo di cottura resta lo stesso, in quasi tutti i suoi passaggi fondamentali: si scalda un po’ d’olio o burro, si tosta il riso insieme ai suoi condimenti (disidratati), si sfuma con un mezzo bicchiere di vino bianco e, una volta assorbito, si prosegue la cottura. Qui interviene tutta la differenza: invece del brodo, si aggiunge acqua calda, che si trasforma in un brodo profumato e saporito mano a mano che i condimenti disidratati riprendono la loro umidità e si dissolvono dolcemente. Arrivati al punto giusto di cottura, con i chicchi ancora ben separati e al dente, si manteca con burro, parmigiano e, volendo, un po’ di noce moscata, ed ecco pronto. Dall’inizio della preparazione, è passato appena un quarto d’ora: più o meno lo stesso tempo che per un piatto di pasta.
Ci bevo volentieri un bel bicchiere di Gavi del comune di Gavi, fresco e suadente con le sue note di frutta fresca e i suoi sentori erbacei, che si sposa molto bene con la dolce fragranza del porro. Una fragranza che sta bene anche su una tavola estiva, magari a far da preludio a un secondo di pesce altrettanto profumato e leggero. Suggerirei un ceviche di cernia, abbinato allo stesso vino, per suggellare la continuità di una cena semplice, facile e deliziosa.