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Le molte forme del piccante

Si fa presto a dire “piccante”: si pensa che sia un sapore ben preciso, normalmente associato al peperoncino. Invece, innanzitutto non è affatto un sapore, ma una “sensazione sensoriale”, dovuta alla capacità di alcune sostanza chimiche (per esempio la capsicina, contenuta appunto nei peperoncini) di stimolare i recettori del calore presenti nella cute e nelle mucose, in particolare nel palato e nella lingua, ma non solo. Ciò è chiaro se si pensa agli spray urticanti, che utilizzano proprio elevate concentrazioni di capsicina per indurre forti sensazioni di bruciore sulla pelle e negli occhi. La capsicina, del resto, non è la sola sostanza che abbia queste proprietà: ci sono anche la piperina, presente in diversi tipi di pepe, diversi tipi di isosolfocianato e isotiocianato che si trovano nella senape, nel rafano, nel wasabi e in diversi tipi di rape e rapanelli; infine, c’è anche l’allicina, tipica di aglio, cipolla, scalogno e simili.

Dal punto di vista del gusto, la sensazione del piccante è molto interessante: dato che agisce su alcuni recettori delle mucose, stimola anche l’attività degli altri, con il risultato di esaltare la percezione degli aromi e dei sapori. Oltre una certa soglia, però, l’eccessiva stimolazione dei recettori dei calori satura le altre sensazioni e si perde la capacità di distinguere, o addirittura di percepire, gli altri stimoli. Ovviamente, questa soglia è molto variabile e può facilmente innalzarsi con l’abitudine allo stimolo, tanto che chi è abituato a mangiare cibi piccanti sviluppa una notevole tolleranza a certe concentrazioni che possono mandare a fuoco la bocca e la gola di altri.

In cucina, quindi, piccante è ciò che serve, nella giusta misura, a esaltare la sapidità degli alimenti, a dare una sferzata che invoglia alla masticazione e all’assunzione di bevande e, proprio per questo, è molto efficace nel rendere più appetitose le pietanze. Lo sapeva bene il vecchio maestro Pellegrino Artusi, che nel suo ricettario fornisce due varianti di “salsa piccante”. La prima (capperi sott’aceto, acciughe, prezzemolo, una bella manciata di pepe e olio) è di fatto una variante della famosa salsa verde; la seconda è appena un po’ più elaborata e ancor meno focosa (“fate un battutino trinciato ben fine con poca cipolla, prezzemolo, qualche foglia di basilico, prosciutto tutto magro e capperi spremuti dall’aceto. Mettetelo al fuoco con olio buono, fatelo bollire adagio e quando la cipolla sarà rosolata fermatelo con un poco di brodo. Lasciatelo dare ancora qualche bollore, poi levatelo aggiungendovi una o due acciughe tritate e agro di limone”). In entrambi i casi, ci troviamo di fronte a un’idea di piccante assai blanda, adatta appena a far da contraltare ai sapori spessi, ricchi e grassi della buona tavola borghese di metà Ottocento, ma certo parecchio deboluccia rispetto alle nostre abitudini di oggi, forgiate su ben altri fuochi. Viene da chiedersi come avrebbe reagito il buon Artusi di fronte a una cucchiaiata di nduja, o anche alla classica spaghettata aglio olio e peperoncino, classica conclusione di molte notti brave, senza contare i vertici indiavolati di certe cucine di altre parti del mondo, di cui abbiamo imparato a conoscere, sopportare e persino amare le deliziose torture.

Questi peperoncini farciti con acciuga e cappero in olio extravergine d’oliva hanno ben poco di piccante, nel senso proprio del termine: giusto quella punta, che serve a definire meglio i sapori e a dare al peperoncino la spinta giusta per misurarsi con gli altri ingredienti. Se il peperoncino non è troppo piccante, l’acciuga non è troppo salata; anzi, è morbida e sapida, in equilibrio tra una giusta dose di aggressività e un’evocazione di mare. Il cappero, di suo, ha la freschezza del vegetale e la sferzata dell’aceto, al centro di tutto il boccone.

Come in tutte le preparazioni ben riuscite, specie in quelle da mangiare tutte in una volta, la chiave è il gioco delle consistenze. Il peperoncino si accoglie in bocca tutto intero, tondo e liscio, reso ancora più vellutato dall’abbraccio dell’olio; non appena si comincia a mordere, la buccia esplode croccante e si affonda nel dolce morbido della polpa, per arrivare subito dopo alla carne dell’acciuga, soda e decisa e, infine, alla masticabilità del cappero, cuore verde e acidulo, che pulisce la bocca e chiama, subito, un altro assaggio. Eccolo, il piccante di Artusi!

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